Pensiero Nuovo

marzo 9th, 2016
Comuni o Signorie?

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E’ tempo che anche l’Italia venga annoverata tra le nazioni libere e potenti”.

Così si esprimeva Napoleone Bonaparte all’indomani della fortunata campagna italica.
La sua invincibile “grande armée”, che sottomise buona parte dell’Europa continentale, ebbe gioco facile contro la frammentazione politico – territoriale che affliggeva l’Italia del settecento.
In realtà, tale peculiarità nazionale si era andata consolidando nel corso del rinascimento allorquando potenti signorie, eternamente rivali, divennero vere e proprie entità nazionali:
ciascuna aveva la propria moneta, la propria bandiera, il proprio esercito; il signore era il capo indiscusso.
L’Italia di oggi, purtroppo, non è tanto diversa da quella di allora e le divisioni territoriali sono diventate fratture insanabili: regioni, alcune a statuto speciale, comuni, comunità montane, città metropolitane, sono sempre più indipendenti dallo stato centrale.
Basti pensare alla “tassa di soggiorno” che, imposta in molte città d’arte, ricorda i dazi doganali dell’Italia del rinascimento, offendendo l’identità nazionale. Analogamente intollerabile è il comportamento di tanti amministratori che, ogniqualvolta torna in auge il default dell’Italia, propongono una secessione di convenienza, al fine di traghettare la propria microcomunità verso regioni o stati esteri più ricchi!
A peggiorare la situazione, l’asfissiante pressione fiscale che opprime i cittadini piuttosto che amministrarli. Grazie ad essa è stata finanziata una spesa pubblica “orientata al consenso”: in cambio di sostegno elettorale, alcuni, tra gli odierni “signori”, concedono appalti, posti di lavoro, affitti calmierati e benefit di ogni tipo.
Tale prassi, soprattutto in tempi di crisi, ha contribuito al dissesto della finanza locale il cui equilibrio è stato ottenuto a prezzo di una tassazione talvolta iniqua che si somma a quella dello Stato.
A ciò, come se non bastasse, si associa il rincaro delle tariffe dei servizi pubblici, l’incremento delle entrate straordinarie rivenienti da sanzioni comminate a vario titolo.
Quest’ultimo punto, poi, tra i più controversi e odiosi può essere foriero di divieti e prescrizioni assurde: limiti di velocità irragionevolmente bassi, proliferazione delle aree di sosta a pagamento, cambi repentini dei sensi di circolazione, semafori non a norma, sembrano essere, a vario titolo, una serie di espedienti per “fare cassa”.
Sembrerebbe, ma la questione è tutt’altro che trasparente, per ovvi motivi, che siano previsti degli incentivi economici per l’erogazione delle sanzioni; una sorta di premio di produttività. È certo, invece, che queste entrate straordinarie entrano nel bilancio previsionale degli enti locali per coprire uscite GIA’ DECISE. Ne consegue che la serenità e l’equilibrio della pubblica amministrazione locale vengono seriamente compromesse dalla necessità di fare cassa per coprire spese già effettuate.
Purtroppo il malcostume non finisce qui. Il cittadino è costretto, ad ulteriore beffa, a constatare in che modo i soldi pubblici finiscono col foraggiare interessi privati, appropriazioni indebite e, non da ultimo, il sistema clientelare: cantieri aperti per cambiare pavimentazioni ed arredi urbani nuovi di zecca, opere pubbliche la cui costruzione impiega decenni, la proliferazione di orribili “opere d’arte” che, oltre ad offendere il comune buongusto, rappresentano, spesso, un collaudato espediente per eludere i controlli sulla spesa.
Infatti se il costo di un chilometro di asfalto è facilmente determinabile, il valore “dell’arte” è potenzialmente illimitato (e, talvolta, molto soggettivo!).
Da un simile raffronto, si arriva a rimpiangere le signorie del rinascimento che, sebbene avessero soppiantato le libertà dell’età comunale, facevano sfoggio della loro grandezza, in termini culturali ed artistici: il mecenatismo di alcune famiglie, per esempio, ha cambiato per sempre la topografia delle principali città italiane, tra le più belle del mondo.
Tale “nostalgia” trae spunto anche dalla seguente riflessione:
Se il popolo aveva il diritto di rovesciare il signore, negli odierni comuni tale comportamento sarebbe sedizioso, eversivo, antidemocratico, penalmente perseguibile.
Il dissenso deve avvenire utilizzando strumenti democratici, primo tra tutti il diritto di voto.
Cosa accade a questo ineccepibile ragionamento nel momento in cui viene snaturata la partecipazione dei cittadini alla vita democratica non è ancora chiaro.
Così come non è chiaro cosa possa fare un elettore chiamato a pronunciarsi su una lista di eleggibili che dovrebbe essere, invece, un elenco di proscritti.
Più in generale, ancora, deve dibattersi circa l’attuale “deriva democratica” che vede il proliferare di governi scarsamente rappresentativi, condizionati dai diktat di organismi sovrannazionali, rigorosamente NON ELETTI.

Dittatocrazia è il neologismo che potrebbe riassumere questa insidiosa forma di governo, coercitiva quanto una dittatura, ma più subdola ed ipocrita. E’ un pantano nel quale ogni tentativo di cambiamento è destinato all’insuccesso a causa di una fitta rete di interessi privati, mistificazioni e corruzione. E’ un muro di gomma a protezione di una classe dirigente inamovibile che governa da decenni dando l’illusione dell’alternanza politica.

Massimiliano Miceli

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