La notizia è di quelle terribili, di quelle fanno male.
Due soldati italiani rischiano la pena di morte per i fatti risalenti agli inizi del 2012 che sinteticamente occorre richiamare.
È il 15 febbraio, una petroliera battente bandiera italiana viene attaccata da un gruppo di pirati in acque internazionali.
A bordo, nell’ambito del programma antipirateria, i “marò” di scorta al convoglio aprono il fuoco; muoiono due cittadini indiani.
Successivamente, le autorità di Nuova Delhi, con un meschino inganno, invitano la nave italiana ad attraccare nel porto di Kochi per effettuare i dovuti riconoscimenti dei presunti banditi superstiti fermati dalla guardia costiera indiana su un’imbarcazione coinvolta nell’evento.
La vicenda si conclude con l’arresto dei militari italiani accusati dell’omicidio di due pescatori.
Oggi, tra un rinvio e l’altro, a distanza di quasi due anni dai fatti, con particolare accanimento e sadismo, trapelano notizie inquietanti secondo le quali i due connazionali rischierebbero la pena di morte.
Al di là delle ricostruzioni discordanti fornite dai rispettivi governi, su cui ritengo inutile soffermarsi per evitare di cadere in dibattiti sterili, c’è un FATTO incontestabile.
A gennaio 2013 la corte suprema indiana stabilisce, dopo circa un anno di detenzione, che l’accaduto si è svolto in ACQUE INTERNAZIONALI, circostanza che conduce ad un ipotesi di “reato federale” e conseguente modifica del tribunale competente.
Tale fatto, gravissimo dal mio punto di vista, viola apertamente il principio secondo il quale, in acque extraterritoriali, è lo stato cui si richiama la bandiera dell’imbarcazione oggetto di controversia ad avere giurisdizione esclusiva.
Pertanto, è di tutta evidenza, così come ammesso implicitamente dalla magistratura indiana, che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone si sarebbero dovuti giudicare in patria.
A questo punto, occorre richiamare alcuni eventi forse dimenticati.
Febbraio 1998, un pilota militare statunitense, durante un ingiustificato e pericoloso “volo radente”, tranciò i cavi d’acciaio della funivia del Cermis, TRENTINO ALTO ADIGE, provocando la morte di 19 passeggeri.
Dopo le scuse di rito e qualche frase di circostanza, l’aviatore responsabile dell’accaduto fu immediatamente tradotto in patria per essere giudicato NON COLPEVOLE.
Dicembre 2010, il presidente brasiliano Lula nega l’estradizione del “terrorista rosso” Cesare Battisti condannato in Italia (con sentenza definitiva) all’ergastolo per banda armata ed alcuni omicidi.
Maggio 2012, Sierra Leone, la Gran Bretagna da il via ad un blitz contro banditi nigeriani che avevano sequestrato due ingegneri, un italiano ed un inglese; muoiono entrambi ma il nostro governo viene informato solo a cose fatte.
Questa breve sequenza di “spiacevoli” episodi evidenzia un fatto incontestabile su cui è necessario richiamare l’attenzione.
Ciò che ipocritamente continuiamo a definire “diritto internazionale” assomiglia alla più antica legge di natura esistente:
quella del più forte, la medesima secondo la quale si è rispettati nella misura in cui si è temuti.
Tornando alla vicenda dei marò, ma il senso di quanto sto per affermare vale in tutti i casi sinteticamente richiamati, il governo italiano avrebbe dovuto INTIMARE l’immediato rilascio dei due connazionali, secondo quanto previsto dalle norme internazionali, minacciando, in caso contrario, un embargo commerciale.
Avrebbe dovuto prontamente ritirare, in segno di protesta, il proprio ambasciatore e procedere all’espulsione di quello indiano. Soprattutto avrebbe dovuto richiedere l’intervento di Europa e Stati Uniti ricordando loro che circa 10.000 soldati italiani impegnati in missioni di pace all’estero, lungi dall’essere un tributo dal retaggio coloniale, sarebbero potuti venir meno in assenza di una chiara e netta posizione in favore del bistrattato “alleato” .
Per ritrovare la credibilità internazionale abbiamo bisogno di una politica estera che, con fermezza ed equilibrio, difenda questioni di interesse nazionale nell’ambito del più ampio consenso possibile.
Che il coraggio di questi due uomini possa essere d’esempio per i nostri pusillanimi governanti incapaci di difendere una dignità nazionale spesso umiliata!
Massimiliano Miceli
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