Pensiero Nuovo

giugno 8th, 2015
Un disco già sentito…

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La bontà di un risultato, qualunque risultato, prescinde da misurazioni assolute perché va valutato alla luce del contesto in cui è maturato: se un centometrista afferma di essere il più veloce, la cosa assume scarsa importanza se ha corso da solo.
Così, ad esempio, una politica lungimirante, saggia, illuminata, è tale solo se l’impatto sulla società ne certifica lo spessore, l’importanza, la grandezza!
Pertanto, sig. presidente, alcune sue affermazioni, opportunamente contestualizzate al momento storico che stiamo attraversando, sembrano assumere tutt’altro significato rispetto a quanto vorrebbe far credere.
Il consenso di cui tanto si vanta, ad esempio, che alle europee scorse ha visto il suo partito raggiungere percentuali degne della democrazia cristiana dei tempi d’oro, andrebbe rapportato alla percentuale dei votanti: quell’inimmaginabile 40% circa, con un tasso di astensione prossimo al 50%, andrebbe, dunque, diviso per due.
Secondo l’effettivo gradimento elettorale, allora, solo un italiano su cinque le ha dato fiducia; anzi, considerando le fratture interne al suo partito e l’immancabile peso del voto di scambio (ahimè trasversale a tutti gli schieramenti), questo poco incoraggiante risultato viene ulteriormente ridimensionato.
Ci risparmi, allora, la retorica del vincente: chi riesce a perder meglio degli altri dovrebbe dosare l’esultanza ed esprimere più modestia. E poi, data l’inconsistenza dei suoi avversari, un buon politico (figuriamoci uno statista), avrebbe dovuto ottenere un plebiscito!
Riprendendo la sbandierata riforma del mercato del lavoro, poi, viene naturale muoverle un’obiezione puramente sintattica: la libertà di licenziamento, prevista per i nuovi contratti, a prescindere da considerazioni di merito, è fonte di oggettiva instabilità.
L’aggettivo indeterminato che ha voluto mantenere nella denominazione delle nuove fattispecie contrattuali è privo di contenuti poiché, nella sostanza, un ipotetico neoassunto può essere rimandato a casa in qualunque momento, anche senza giusta causa.
Proprio per tale motivo, sarebbe più esatto definirli “potenzialmente indeterminati a precarietà decrescente“: se compara l’importanza dei diritti cancellati all’esiguità degli indennizzi previsti in caso di licenziamento, la definizione di “tutela crescente” appare, infatti, un’ulteriore beffa.
Muovendole critiche nel merito, invece, è lecito domandarsi cosa accadrà a buona parte dei contratti a tempo “indeterminato” una volta che scadranno gli incentivi fiscali previsti dalla riforma.
Così come andrebbe detto, per onestà intellettuale, che molti di questi rapporti, lungi dall’essere NUOVI, sono frutto della sostituzione di altre tipologie contrattuali a tempo determinato divenute, per via dei generosi sgravi fiscali previsti, improvvisamente meno convenienti.
Intendiamoci, l’utilizzo della leva fiscale per rilanciare l’economia è progetto lodevole e degno di nota (nonché pilastro portante della nuova macroeconomia sociale di mercato); è, al contrario, l’ennesima cancellazione dei diritti che rende il tutto vano (e dunque soltanto dispendioso).
Mi rendo conto che una simile rappresentazione dei fatti ha un costo elettorale elevato, ma è innegabile che milioni d’italiani hanno il diritto di conoscere la sostanza dei provvedimenti varati, senza edulcorazioni di alcun genere: è una forma di rispetto che viene prima di ogni altra cosa, persino delle buone intenzioni (ammesso che ve ne siano).
Passando ad altro, è da un po’ di tempo che, con toni trionfalistici, annuncia (e purtroppo non solo lei) l’inizio di una striminzita ripresa certificata, al momento, dai soli istituti di statistica.
Vorrei ricordarle che dopo otto anni di caduta del PIL, l’esplosione del debito pubblico e la stampa di miliardi di euro ad opera della banca centrale, un piccolo segnale d’inversione era lecito aspettarselo.
I trader finanziari utilizzano l’espressione “il balzo del gatto morto” per definire i timidi rialzi di borsa a seguito di drammatici tracolli: non sarà elettoralmente premiante come espressione ma rende benissimo l’idea!
Ciò che dovrebbe occuparla maggiormente, invece, è tentare di stravolgere un sistema economico colpito da una crisi strutturale e non congiunturale (come il tenore dei suoi provvedimenti sembrerebbe suggerire).
Faccia presto presidente, prima che l’inevitabile default della Grecia palesi (semmai ve ne fosse ancora bisogno) le contraddizione di una unione monetaria poco credibile, economicamente fragile, politicamente debole.
Altro suo cavallo di battaglia è la lotta alla corruzione che ha portato ad un inasprimento delle pene.
Certo è meglio di niente ma, come più volte ribadito in questo blog, il malcostume dovrebbe essere prevenuto prima ancora che perseguito: una colossale riforma della pubblica amministrazione che cancelli regioni, province, città metropolitane, società partecipate, che accorpi comuni in comprensori rilevanti privandoli, allo stesso tempo, dell’odiosa e controproducente AUTONOMIA FISCALE, è il primo passo verso tale obiettivo.
Ne conseguirebbe una trasformazione radicale dello Stato che taglierebbe seriamente la spesa pubblica assestando un durissimo colpo alle logiche clientelari che, da troppo tempo, tengono in scacco la Nazione.
Invece, sig. presidente, ancora una volta impegnato in attività di propaganda, si accinge a fiaccare i già deboli organismi di controllo degli enti locali con un progetto di riforma della PA, diligentemente motivato da ragioni di efficienza ed economicità: nella sua visione, dunque, ad alcuni dirigenti comunali, già di nomina politica, saranno richiesti generici (e dunque fumosi) requisiti professionali senza necessariamente superare le selezioni di severi concorsi.
Soprassedendo sull’ennesima anomalia italica secondo cui è il controllato a scegliersi il controllore, non pago, estendendo la platea dei nominabili, aumenta a dismisura il potere contrattuale dei sindaci e, pertanto, il loro “potere persuasivo”.
Superfluo suggerirle che il contrasto alla corruzione locale impone, invece, un rafforzamento istituzionale degli organi di vigilanza, che, evidentemente, andrebbero designati dall’amministrazione centrale dello Stato.
Altro discorso, quello che l’ha vista, guarda caso dopo il non esaltante responso delle urne, volare in Afghanistan per apparire in divisa, dinnanzi alle telecamere.
A tutti coloro che l’hanno ascoltata, sig. presidente, avrebbe dovuto spiegare come sia possibile che, a distanza di tre anni, i nostri marò siano ancora oggetto di persecuzioni giudiziarie di un tribunale straniero; chiarire perché, stante l’imponente dispiegamento di militari italiani nel mondo, il suo governo (così come quelli che l’hanno preceduto) non sia in grado di IMPORRE agli “alleati” il necessario sostegno per il rilascio dei due malcapitati.

Faccia attenzione presidente.
La politica degli spot, dei sondaggi, del marketing, dei talk show, dei provvedimenti tanto enfatizzati quanto temporanei, degli annunci, delle roboanti promesse, delle elemosine di Stato, del finto ottimismo, delle mistificazioni, delle divise indossate, delle battute e di poco altro, è un disco già sentito…

Massimiliano Miceli

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One thought on “Un disco già sentito…

  1. Condivido pienamente tutte le osservazione evase in questo articolo denso di contenuti, mancherebbe solo la gestione degli immigrati per completare il cerchio…
    Vorrei soffermarmi sul punto del lavoro, causa principale della crisi attuale. E’ mai possibile che i nostri attuali politici non si siano fermati a riflettere su quali siano state le cause che hanno portato l’Italia in questo tunnel dal quale non si vede via d’uscità? E’ così tanto difficile capire che la chiave di svolta consta nella produzione industriale? La sola politica del taglio dei costi non può funzionare perchè non fa altro che ridurre commesse ad imprese che già soffrono il peso della crisi. In periodi come questi, l’unica cosa da fare è indebitarsi per investire in economia REALE e non nei mercati finanziari come stanno facendo le banche!!! Prova evidente è il rialzo immotivato di tutti i listini finanziari mondiali. Ovvio , con rendimenti quasi zero dei titoli di Stato non resta che investire in azioni per ottenere un rendimento maggiore.
    UNA MONETA UNICA NON HA SENSO SENZA UNA POLITICA UNICA!

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