Pensiero Nuovo

luglio 7th, 2014
Morti per niente

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Da tempo, “l’Europa” ha imposto l’austerity per ripianare le finanze degli stati membri e scongiurare il default su scala continentale.
Ristrettezze cresciute a dismisura nel corso degli ultimi anni che hanno finito per aumentare la disoccupazione, la precarietà, la povertà.
Una sofferenza senza precedenti (bisogna risalire alla grande depressione degli anni ’30 per trovare delle similitudini) che ha indotto decine di cittadini al suicidio.
Eppure, a dispetto di tanti sacrifici e delle centinaia di migliaia di imprese che hanno dovuto chiudere a causa dell’insostenibile “peso fiscale”, il debito pubblico italiano, europeo e mondiale continua a macinare record storici.
Una delle manovre finanziarie più terribili e non tanto per l’importo, onestamente esiguo, quanto sotto l’aspetto psicologico, fu quella del governo Monti: dopo aver costatato la fragilità dell’economia nazionale e mondiale, delle banche, del mercato immobiliare e dei titoli di stato, santuari del cosiddetto investimento sicuro, agli italiani venivano imposte ulteriori vessazioni che andavano dal taglio delle pensioni alla precarizzazione del lavoro passando per l’immancabile incremento delle tasse.
Furono racimolati circa venti miliardi che, sebbene richiesti dalla Germania come condizione necessaria per restare nell’euro, non riuscirono a coprire nemmeno gli interessi sul nostro debito.
La spesa corrente, invece, come in tutta Europa del resto, continuava ad essere oggetto di una “gestione allegra” determinata da logiche clientelari:
Sugli 800 miliardi di euro circa sperperati dallo stato italiano ogni anno, pari a quasi la metà del debito pubblico complessivo, non si è mai andati oltre generiche rassicurazioni fornite, ad arte, in concomitanza di importanti appuntamenti elettorali.
L’appassionante tema della spending rewiew all’italiana che, ciclicamente, nella dismissione di qualche auto blu o nella chiusura di enti particolarmente inutili, pretende di bilanciare le continue ed inalterate appropriazioni indebite ai danni dello stato, è solo propaganda di cattivo gusto.
D’altronde, l’entità dei tagli alla spesa corrente, come più volte sostenuto in questo blog, non può essere inferiore ai 200- 250 mld l’anno, condizione indispensabile per garantire, in assenza di crescita, il pagamento degli interessi (stimati in 100 mld entro il 2015), la riduzione del debito, il reperimento di risorse per riavviare il tessuto produttivo.
In tal modo, si realizzerebbe un risanamento effettivo che, finalmente, sposterebbe “l’onere del rientro” dalla pressione fiscale all’ottimizzazione del denaro pubblico: una decisa contrazione delle “uscite” piuttosto che un insostenibile incremento delle “entrate”.
Fino ad oggi, invece, la necessità di perpetrare una “gestione clientelare del consenso” ha imposto innumerevoli sacrifici che, non accompagnati da una riduzione dei livelli di spesa, non hanno potuto incidere sul dissesto finanziario rendendo vano ogni sforzo.
Debito in cambio di potere”, come testimoniato anche dal sospetto cambio di rotta dei “teorici del rigore”, a seguito della recrudescenza delle formazioni antieuropeiste, che sta in tutta fretta disconoscendo l’austerity.
Già Draghi, qualche mese fa, aveva ipotizzato di stampare 1.000 mld di euro per sostenere l’invisibile ripresa quando, solo un paio di anni prima, aveva, con qualche titubanza, salvato la “periferia d’Europa” dalla tempesta dei mercati.
Anche la Merkel, dopo l’asse franco-italiano siglato qualche giorno fa, ha mostrato la sua natura schizofrenica; se appena qualche anno fa tuonava: “fuori dall’euro chi non rispetta i patti”.
A giugno 2014 ha dichiarato: “più flessibilità al patto di stabilità”.
D’altronde le farneticazioni renziane sull’ampliamento del debito pubblico di altri 150 mld di euro in 5 anni, (“bazooka clientelare” di gran lunga più potente di 80 euro in busta paga) deve aver indotto la “cancelliera di ferro” a timide “aperture”.
Comunque sia, a prescindere dalle dichiarazioni sibilline adattabili alle circostanze del momento, ciò che colpisce è il protrarsi della T R U F F A più grande della storia, alimentata, nondimeno, da alchimie contabili di prossima introduzione e da sistematiche, quanto evanescenti previsioni di ripresa, rimandate di anno in anno: l’imposizione di un rigore, all’occorrenza disconosciuto sulla base di calcoli elettorali, finalizzato al mantenimento del POTERE piuttosto che alla risoluzione di gravi squilibri economici. Un incessante trasferimento di ricchezza dalla collettività, grazie alla “mannaia fiscale”, verso un élite parassitaria che necessita di inalterati livelli di spesa per sopravvivere.
Il tutto condito da un’impudicizia senza eguali che non tiene conto del dramma di chi ha perso un lavoro, la casa, l’impresa ed, in alcune circostanze, la vita, in nome del fasullo “risanamento dei conti”.
Una vergogna senza fine che si fa beffa persino dei morti, dei tanti disperati, a questo punto, morti per niente.

Massimiliano Miceli

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