Pensiero Nuovo

Chi ha letto gli interventi precedenti, avrà chiara la necessità di adottare “decisioni epocali” volte a ripianare il debito pubblico piuttosto che contenerlo. È fondamentale, pertanto, agire tempestivamente, prima che la “leva monetaria” si esautori, al fine di evitare ineluttabili “adeguamenti catastrofici” di “malthusiana” memoria.
La portata delle proposte che mi accingo a sottoporvi può apparire ai più visionaria; tant’è: non c’è “rivoluzione” in assenza di “visionari”.
D’altronde, come già premesso nella “mezzanotte del capitalismo”, l’implosione di un sistema economico impone uno “storico cambio di passo” che, quand’anche sbagliato, certamente non potrà far più danni di quanti ne sia chiamato a risolvere.
Venendo al dunque, è necessario che la spesa pubblica sia tagliata nell’ordine di 200 – 250 miliardi di euro l’anno per garantire:
* nell’arco di un decennio, l’integrale ripianamento del debito;
* la “copertura finanziaria” di misure finalizzate all’avvio di un “New Deal” italiano.
Se un’aortografia a Torino costa il 229% in più rispetto a Genova e per un’otturazione ad un dente l’Emilia Romagna spende il 252% in più della Liguria (fonte Libero), l’abbattimento del fabbisogno corrente dello Stato, nell’ordine del 30%, è un obiettivo abbastanza ragionevole.
Un risparmio senza precedenti, quindi, ottenibile da una revisione dei costi della Pubblica Amministrazione che tagli tutto il superfluo (e non solo).
Entrando nello specifico, senza dilungarmi su argomenti già noti, mi soffermerò su alcune riforme strategiche, a me particolarmente care, dalle quali potrebbe realizzarsi gran parte dell’ambizioso traguardo perché investono i maggiori capitoli di spesa.

1) La riforma sanitaria.

L’attuale sistema sanitario, decentrato su base regionale, è incancrenito da elevati livelli di corruzione che, da un “passaggio di mano all’altro”, ne aumentano esponenzialmente i costi in corrispondenza di servizi scadenti.
Come già osservato, la causa di tutto è riconducibile al “sistema clientelare” grazie al quale la politica “scambia” consenso per debito e spesa pubblica.
Inoltre, cosa ancor più grave, il “diritto alla salute” rimane fatto più formale che sostanziale poiché i tempi biblici delle strutture pubbliche già impongono a tutti i cittadini, affetti da gravi patologie (e che se lo possono permettere), di ricorrere a strutture private.
La soluzione naturale per uscire da questa aberrazione è adottare un sistema “misto” al cui “costo pubblico”, perché sostenuto dallo Stato, corrispondano “prestazioni private”, tradizionalmente più efficienti in quanto operanti in regime di libera concorrenza.
Ogni dipendente, pertanto, avrà diritto ad una polizza sanitaria pagata dal datore che, a sua volta, potrà interamente detrarla dal carico fiscale, fermo restando l’onere sussidiario dello Stato di estendere tale “copertura” agli inoccupati.
Grazie all’intermediazione assicurativa ed a strutture sanitarie private, verrebbe garantito un “sistema all’americana” ma completamente gratuito che debellerebbe, altresì, intollerabili corruttele.

2) La riforma delle autonomie locali.

Prima di addentrarmi nell’analisi di tale proposta mi soffermerò su un presupposto ancor più importante.
Sebbene non sia questa la sede in cui trattare adeguatamente tale argomento, ritengo ogni forma di autonomia locale deleteria se associata ad un substrato culturale deficitario in termini di “Bene Comune” e “Solidarietà Nazionale”.
L’unità di un popolo, requisito fondamentale nella competizione globalizzata, viene spesso minacciata da “beghe di condominio” che, supportate da grotteschi campanilismi, alimentano forze centrifughe difficilmente arginabili.
Se, come sono certo, il mondo globalizzato scoprirà nella COOPERAZIONE l’unica possibilità di sopravvivenza, è chiaro quanto siano superate le divisioni nazionali ed, a maggior ragione, quelle regionali.
Fatta tale doverosa premessa, ricordo, come già più volte puntualizzato, che ogni forma di autonomia di bilancio, in assenza di “Cultura Pubblica”, produce “leverege” funzionale alla gestione del “consenso”. Diretta conseguenza è un’autonomia fiscale impropria che, spesso fonte d’imposte e balzelli dal sapore medioevale, contribuisce ad opprimere cittadini già vessati dalla tassazione dello stato centrale.
Inoltre, l’indebitamento degli enti locali è più insidioso di quello nazionale poiché, non essendo quotato, non è soggetto al controllo dei mercati che ne monitorano, in tempo reale, il grado di solvibilità/rischiosità. Non è dato sapere, infatti, quale sia il debito delle regioni italiane, delle decine di province, delle migliaia di comuni (alcuni dei quali piccolissimi) e delle società partecipate ma il sospetto che raggiunga cifre raccapriccianti è pienamente legittimo.
Già nel 2013, alcune regioni spagnole e la città di Detroit, solo per citare i casi più clamorosi, sono state dichiarate fallite. Per un periodo si parlò anche di un probabile default della Sicilia e del Piemonte, “salvatesi” poi miracolosamente.
In base a quanto affermato, le autonomie locali divengono, frequentemente, metastasi di un sistema corrotto che, per motivi di bilancio e, a questo punto, soprattutto ideologici, è fondamentale riformare con una serie di atti normativi:

a) abrogazione delle regioni, comprese quelle a statuto speciale, delle provincie, delle “città metropolitane”.
b) accorpamento dei comuni in comprensori con densità abitativa non inferiore ai 50.000 abitanti ed eliminazione delle società partecipate.
c) Abolizione dell’autonomia fiscale con la previsione di competenze puramente amministrative nell’ambito della gestione di risorse stanziate dal governo centrale sulla base di un “costo medio standard” desumibile dall’insieme delle realtà locali.
Lo Stato, dunque, attribuirà ad ogni singolo comune i fondi necessari per garantire i servizi pubblici richiedendo, nel contempo, la gestione dei medesimi non più delegabile a società partecipate.
d) Apertura di procedure d’infrazione in caso di mancato rispetto dei budget di bilancio e dei livelli qualitativi minimi richiesti per i servizi erogati.
e) Reimpiego nella pubblica amministrazione e/o accompagnamento alla pensione per tutti i livelli impiegatizi in esubero a seguito dei tagli di cui ai punti A e B
f) Riduzione delle retribuzione / indennità previste per tutti i membri di organi elettivi.

Una riforma di questo tipo:
- realizzerebbe cospicui tagli alla spesa pubblica e pieno controllo sui bilanci degli enti locali.
- Assesterebbe un durissimo colpo alle logiche clientelari poiché, venendo meno la possibilità di “fare debito”, contribuirebbe alla selezione della classe politica locale ed allo sviluppo di un sano interessamento dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica”.
- renderebbe gli scambi economici più efficienti in quanto, grazie al “contingentamento delle risorse finanziarie”, costringerebbe la pubblica amministrazione a valutare l’offerta di ogni impresa in termini di costi/benefici; non più in ragione di possibili appropriazioni indebite.
-Trasformerebbe ogni ente locale da “centro di costo” in “centro di servizi” grazie all’impossibilità di delegare competenze amministrative a società terze (partecipate) con un proprio bilancio (e, quindi, con altro debito).
- Tutelerebbe, infine, la coesione sociale unendo intenti riformatori, anche se drastici, alla costante tutela dei più deboli.
-È NECESSARIA PERCHE’, QUAND’ANCHE NON CONDIVISA, E’ DI TUTTA EVIDENZA CHE UN DECENTRAMENTO COSI’ STRUTTURATO NON E’ PIU’ SOSTENIBILE!

Il presente intervento non ha alcuna pretesa di esaustività poiché, nell’intenzione di chi scrive, è finalizzato alla definizione di obiettivi strategici (abbattimento del debito pubblico, miglioramento dei rapporti tra società e politica, contrasto alla corruzione ed a logiche clientelari) ed all’individuazione di campi d’intervento dell’azione riformatrice (sistema sanitario , autonomie locali, società partecipate).
Non si è ritenuto opportuno scendere in particolari normativi che, a causa della complessità intrinseca delle tematiche trattate, avrebbero imposto approfondimenti tali da penalizzare enormemente il carattere divulgativo del presente blog.
Tuttavia, allo scopo di fornire spunti che possano avvicinarsi il più possibile a progetti di legge”, s’invitano, mai come in questa circostanza, tutti gli utenti interessati ad I N T E R V E N I R E sull’argomento per affidare all’interlocuzione su aspetti specifici la definizione di particolari operativi compatibili e funzionali con la parte teorica.
Del resto e dal mio punto di vista, l’attività legislativa è sempre confinata alla mera facoltà d’indirizzo, alla definizione, cioè, del “fine” e dei “mezzi”, a cui dovrebbe seguire, attraverso il dibattito con i tecnici addetti ai lavori, la stesura delle modalità attuative pur riconoscendo, comunque, che la validità di una qualsivoglia proposta può essere verificata solo a posteriori, decorso un ragionevole lasso di tempo dal momento in cui diventa legge.

Massimiliano Miceli

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One thought on “Le tre cose che dovresti sapere sul debito:…………3)Come ne usciamo

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