Pensiero Nuovo

luglio 5th, 2015
Default? SPERIAMO!

image

Oramai ci siamo: l’ipotesi di default della Grecia non è più un tabù.
L’epilogo di questa tragedia, in atto da diversi anni, è il frutto dell’incapacità (oramai planetaria) di procedere ad un effettivo risanamento di bilancio.
Tale deficienza è il risultato delle odierne “Democrazie Clientelari” che si reggono, proprio perché tali, sulla connivenza di tanti “cittadini” con una gestione criminale della cosa pubblica: orde di falsi invalidi, pensioni d’oro, decuplicazione di posti di lavoro all’interno della pubblica amministrazione ed appalti pilotati, rappresentano, solo per citare alcuni esempi, una moneta di scambio per tanti, troppi, sedicenti elettori.
Siffatto “modello sociale” ha sopito ogni forma di sensibilità verso IL BENE COMUNE in nome del fine privato: quando la culla della civiltà occidentale si trasforma in un immenso emporio che, per “far cassa”, vende alcune isole del Peloponneso, si palesa l’evidente decadenza culturale (prima ancora che economica) in cui è piombato il popolo greco tutto.
Un declino senza precedenti testimoniato, ad ulteriore riprova, dal desiderio, di buona parte dei greci, di non onorare il debito e permanere, nel contempo, nell’area Euro.
Come dire: “lasciateci spendere più di quanto riusciamo a guadagnare“.
Ed allora, da Alexis Tsipras, inconcludente capopopolo che, probabilmente, dovrà fare marcia indietro per tenere il suo paese in Europa, ci si sarebbe aspettato molto di più: se il programma di aiuti con la troika fosse stato accettato senza batter ciglio e, nel contempo, si fosse proceduto ad una seria revisione della spesa pubblica nazionale per restituire il “maltolto” alle fasce sociali più colpite, avrebbe ottenuto il duplice scopo di ridurre il disavanzo pubblico e di non vessare la popolazione.
Basta ricordare a tal proposito che, ancora nel 2014, la Grecia ha avuto una spesa bellica superiore a tutte le nazioni d’Europa o che, nel 2012, mentre venivano tagliati stipendi e pensioni per accedere al programma di aiuti, l’allora governo di unità nazionale stanziava svariati milioni per la costruzione di un autodromo.
Quante accuse rivolte ai creditori, caro Alexis; quanti silenzi riguardo la CORRUZIONE DILAGANTE che affligge la Grecia e che rappresenta la vera causa del suo enorme debito pubblico.
Tutto ciò vale anche per le istituzioni europee che, in costante malafede, continuano a richiedere “sacrifici ai popoli piuttosto che agli stati”: se, ad esempio, gli aiuti della bce fossero stati subordinati alla chiusura di enti inutili o alla soppressione delle autonomie locali (centri di spesa fuori controllo perché condizionati da logiche clientelari) invece che al taglio di stipendi e pensioni già misere, a quest’ora, la “periferia d’Europa” sarebbe stata già messa in sicurezza.
Invece, la famigerata Troika, ossessionata dai costi sociali, “dimentica” la zavorra economica di una classe dirigente parassita, causa prima degli squilibri finanziari delle nazioni e dei conseguenti default.
Il “commissariamento” della Grecia, avviato già nel 2012, avrebbe dovuto avere, come obiettivo prioritario, la rimozione della causa dello stato d’insolvenza: l’imposizione di un taglio radicale del costo della politica, ad esempio, sebbene poco influente sotto il profilo quantitativo, avrebbe rappresentato un formidabile strumento di selezione degli eletti; ancor meglio, la parametrazione dei privilegi di chi governa a pensioni e retribuzioni minime avrebbe incentivato, non fosse che per mera convenienza, l’oculata gestone delle finanze pubbliche e, dunque, tutelato i creditori internazionali.
Al contrario, l’aiuto finanziario elargito, con troppa disinvoltura, ad un governo che, nel frattempo, commissionava all’industria tedesca 2,3 miliardi di carri armati leopard, sembra avallare l’ipotesi di REATO DI CORRUZIONE INTERNAZIONALE!!!
Credo sia abbastanza evidente, oramai, in che misura le istituzioni finanziarie internazionali siano assoggettate ad interessi privati e come possano contare sulla complicità di governanti corrotti e sull’ignavia delle società da quest’ultimi rappresentate.

Interpretando, fuor di retorica, le intenzioni dei “contendenti”, in questo ennesimo connubio di bugie ed ipocrisia, è possibile procedere ad alcune affermazioni:

1) Il debito della Grecia, come tanti altri, può essere ripagato solo grazie ad una nuova classe dirigente che abbia la forza e la capacità di perseguire il pubblico interesse: il taglio della spesa improduttiva, delle pensioni più elevate, dei privilegi, dei posti di lavoro creati per raccattare voti, va realizzato senza timore reverenziale nei confronti dell’elettorato, smussando i conseguenti attriti con una dialettica sopraffina ed un progetto politico-sociale entro il quale buona parte dei cittadini possa sentirsi ricompreso.
2) Data la difficoltà di un ricambio di tale portata, in assenza di un evento traumatico, è, invece, molto più probabile che la Grecia, prima o poi, fallisca.
3) Il risultato del referendum, che probabilmente vedrà la vittoria di coloro che vogliono l’accordo con i creditori internazionali, sancirà un’insanabile spaccatura della società greca: da un lato, chi non ha nulla da perdere spera di conseguire un miglioramento della propria condizione grazie ad un epocale “rimescolamento delle carte”; dall’altro, chi ha un tenore di vita soddisfacente cercherà di difendere lo status quo. Un clima da guerra civile, dunque, che ancora una volta condizionato dal semplice opportunismo e dalla mancanza di un progetto politico omnicomprensivo, rischia di trasformarsi nell’ennesimo scontro tra poveri, tra chi ha poco e chi non ha nulla!
4) Le istituzioni europee hanno tutto l’interesse ad evitare che la Grecia non esca dall’area euro. Le ragioni sono molteplici e nessuna di queste riguarda le sorti del popolo greco. Una su tutte: un’eventuale uscita di Atene dalla zona euro renderebbe l’unione monetaria poco credibile e aprirebbe la strada a pesanti attacchi speculativi lungo tutta la “periferia” portando l’euro alla disintegrazione. Un episodio analogo avvenne nel 1992 quando fu abbandonato il sistema di cambi fissi comunitario europeo denominato SME. Anche allora la disfatta cominciò in Grecia, poi passò alla Spagna e successivamente colpì l’Italia: l’uscita di un paese membro aveva cagionato un tale “danno reputazionale” che i tasselli del “serpentone monetario” caddero ad uno ad uno, proprio come dei birilli.
5) “Vivere a debito”, costante patologica del liberismo contemporaneo, ha consentito la proliferazione di “società parassitarie”, incapaci, proprio perché tali, di adeguarsi ai cambiamenti del mondo globalizzato. L’illusione di poter procrastinare all’infinito il necessario risanamento dei conti, ha spostato, a tempo indefinito, l’ineluttabile “evento traumatico”, causa prima di cambiamenti storici epocali.

Ed allora: se il fallimento dell’unione monetaria è l’unica soluzione per ridare un sussulto di dignità ad un continente che si è andato crogiolando nella sua decadenza, che ben venga!

Massimiliano Miceli

(se vuoi essere aggiornato sulle pubblicazioni di pensieronuvo, clicca mi piace sulla pagina Facebook)

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>